Il nono lungometraggio di Wes Anderson, che sancisce il ritorno del regista americano all'animazione in stop-motion, è ambientato in una versione distopica del Giappone, nella città immaginaria di Megasaki, dove il terribile sindaco Kobayashi ha disposto che, a seguito di un'epidemia di influenza canina, tutti i cani della città siano esiliati a Trash Island, un'enorme discarica di immondizia.
Quando il nipote del sindaco, il dodicenne Atari Kobayashi, nel tentativo di salvare il suo amato cane Spots (Liev Schreiber), si schianta con il suo piccolo aereo sull'isola, un branco di cani accetta di aiutare il ragazzo nella ricerca dell'animale domestico smarrito. Nel frattempo, sulla terraferma, una lentigginosa studentessa americana (Greta Gerwig), capo del movimento pro-cane, scopre una vasta cospirazione corporativa. Nel film i protagonisti che contano, quelli che parlano la nostra lingua, sono tutti cani: Rex (Edward Norton), Boss (Bill Murray), Duke (Jeff Goldblum) e King (Bob Babalan) capitanati da Chief (Bryan Cranston) proteggere e scorteranno il piccolo Atari nel pericoloso viaggio che cambierà le sorti dell'intera Prefettura.
Le riprese di "Isle of Dogs" si sono svolte nel corso di due anni presso i 3 Mills Studios di Londra, dove Wes Anderson aveva già girato nel 2009 il suo primo film d'animazione, "Fantastic Mr. Fox". Per realizzare il film è stata necessaria la creazione di circa 250 micro set altamente dettagliati. La sfida più grande, ha osservato Harrod, uno degli scenografi, è stata "la portata del film, il numero di set di scale differenti che abbiamo dovuto mettere insieme - da quello semplice a quello più complesso come il set di test sugli animali. Tutti dovevano consentire l'accesso agli animatori in modo che potessero entrare e manipolare i burattini".
Tutto nel film è stato creato a mano, perché Wes Anderson ha voluto limitare al minimo l'uso del computer. Sono stati creati 1.000 pupazzi: 500 burattini umani e 500 cani burattini (le marionette dei cani robotici erano in realtà stampate in 3-D) e il dipartimento artistico ha dovuto creare migliaia di oggetti, dalle targhette dei cani agli abiti degli umani.
Wes Anderson ha scritto la sceneggiatura del film insieme agli amici e collaboratori Roman Coppola e Jason Schwartzmann, con l'aggiunta dell'attore giapponese Kunichi Nomura. Decisamente trascinante è la colonna sonora composta da Alexandre Desplat, con ritmi scanditi unicamente dai tamburi giapponesi.
Siamo andati alla scoperta dei luoghi reali e dei riferimenti cinematografici e culturali che hanno ispirato il film e che hanno contribuito a rendere "L'isola dei cani" un'incantevole film d'animazione in stop motion.
Attenzione: contiene spoiler!
Wes Anderson combinando insieme l'idea dei cani in una discarica e l'amore per il cinema giapponese, in particolare per Kurosawa, ha creato una versione fantasy del Giappone. "L'isola dei cani" è un film pieno di allusioni a tutto ciò che è stato romanticizzato della cultura giapponese dal punto di vista di un occidentale, come il teatro butoh e kabuki, il sumo, l'haiku, i fiori di ciliegio, il sushi, la calligrafia, Hokusai, Hiroshige e le stampe del XVII secolo , i manga, il sakè, i samurai, il design giapponese degli anni '60, i film di Akira Kurosawa e Hayao Miyazaki. Quello che vediamo sullo schermo è un universo alternativo andersoniano: un Giappone antico e nuovo, reale e irreale, tutto filtrato attraverso il modo di vedere di Wes Anderson.
La città immaginaria di Megasaki ospita grattacieli, luci al neon e case tradizionali in legno: una strada fiancheggiata da lanterne di carta ricorda gli stretti vicoli del quartiere Shinjuku di Tokyo mentre l'ingresso l'edificio rosso, la Cupola Municipale, che vediamo nelle scene di apertura del film ricorda il castello di Shuri ad Okinawa.
Paul Harrod, scenografo del film insieme ad Adam Stockhausen, ha spiegato che "L'isola dei cani si svolge nel futuro tra vent'anni. Ma non sono vent'anni dal nostro futuro. Sono vent'anni nel futuro, visti dal punto di vista dei primi anni '60 del Giappone". L'intenzione era quella di creare un mondo che avesse alcuni elementi futuristici ma che avesse ancora molto del vecchio Giappone.
L'architettura della città di Megasaki prende spunto dal lavoro dell'architetto giapponese Kenzo Tange e dal movimento metabolista. Il metabolismo è stato un movimento architettonico giapponese nato negli anni '60 che immaginava un’architettura capace di crescere e di adattarsi all’ambiente e all’evoluzione umana. Nel 1960 un gruppo di architetti visionari come Kurokawa Kisho, Kikutake Kiyonori e Maki Fumihiko progettavano già città connesse da autostrade sopraelevate a slalom nel cielo, fra grappoli di grattacieli. Il progetto simbolo del metabolismo è la Nakagin Capsule Tower Building (1972). Torri gemelle fatte di moduli abitativi simili a navicelle spaziali, con l’essenziale per vivere (o sopravvivere) concentrato in meno di tre metri quadrati progettata da Kurokawa a Tokyo.
Megasaki è una combinazione di metabolismo, diversi tipi di grattacieli, ma anche di edifici tradizionali. Old Town, il quartiere che vediamo in primo piano nell'inquadratura, rappresenta il vecchio Giappone prebellico e la sua estetica.
L'ispirazione per realizzare la casa del malvagio sindaco di Megasaki è venuta invece dall'ormai demolito Imperial Hotel di Tokyo dell'architetto Frank Lloyd Wright. La Brick Mansion del sindaco Kobayashi è stata modellata su questo edificio perché, come spiegato da Harrod "ci è piaciuto come rappresentasse una fusione di architettura tradizionale giapponese con il modernismo del XX secolo. Mentre le linee del tetto suggeriscono un design di epoca Edo, la struttura stessa è in muratura piuttosto che in legno, e l'impronta suggerisce un progetto in stile occidentale". Mentre l'opera di Frank Llyod Wright mette in risalto le linee orizzontali, lo scenografo del film enfatizza quelle verticali per dare all'edificio una presenza più incombente.
L'Imperial Hotel purtroppo nel 1967 venne demolito, ma l'iconica ala centrale della hall e la piscina riflettente sono stati smontati e ricostruiti al Meiji-Mura di Ynuima un museo all’aria aperta vastissimo che si espande su numerose colline dove i visitatori possono ammirare l’architettura tradizionale Giapponese.
Il tempio shintoista è un amalgama di diversi disegni. Sono stati esaminati centinaia di templi in Giappone, anche buddisti. La maggior parte avevano delle sorprendenti tavolozze di colore che andavano dal bianco all'oro, dal rosso al nero, ma Wes Anderson, sorprendendo tutti, propose di farlo verde e rosa. Paul Harrod ha raccontato che: "all'inizio il mio sopracciglio si sollevò un pò! Poi, lavorando con Kevin Hill, che ha progettato il set per il tempio, abbiamo capito che il verde sarebbe stato marmo o granito, e abbiamo creato gradini e colonne verdi. Per le superfici in legno dipinto, abbiamo mescolato e abbinato alcune cose usando la tavolozza che Wes aveva suggerito".
Per realizzare gli interni della Cupola Municipale lo scenografo si è ispirato ad un teatro Kabuki di Kyoto. Il Minamiza Kabuki Theater di Kyoto è uno dei teatri migliori in Giappone per vedere il Kabuki e probabilmente è proprio questo il teatro da cui è stata presa ispirazione.
Il fatto che Wes Anderson abbia deciso di ambientare "L'isola dei cani" vent'anni nel futuro, ma visti dal punto di vista dei primi anni '60, spiega la sensazione di nuovo e passato del film. Per questo alcuni elementi sono in realtà piuttosto retrò. I telefoni, l'aula e le apparecchiature informatiche davanti cui è seduto l'hacker sono tutte tecnologie obsolete, perché non si tratta davvero del nostro futuro, ma di un futuro alternativo. L'obbiettivo del regista e dello scenografo era quello di creare un mondo con alcuni elementi futuristici ma che avesse ancora molto del vecchio Giappone. Piccoli dettagli come un furgone telegrafico della metà degli anni '60 o un distributore automatico di saké, che sono stati disseminati in tutto il film.
Il film attinge a vari aspetti dell'arte e del design giapponese, ma una delle maggiori fonti di ispirazione sono state le stampe di artisti come il grande Katsushika Hokusai. Ad esempio, un'illustrazione in una delle scene di apertura del film mostra un gruppo di cani a bordo di una zattera con un'onda diretta verso di loro - una scena ispirata alla famosa stampa di Hokusai "La grande onda di Kanagawa".
Il vulcano viola che si vede sullo sfondo in molti scatti del film (evidentemente il Monte Fuji) è tratto da illustrazioni ukiyo-e che utilizzavano una tavolozza di colori molto radicale.
Per dar forma a Trash Island, l'isola della spazzatura dove vengono portati in esilio i cani affetti dalla misteriosa influenza canina, Wes Anderson ha fatto riferimento al periodo Edo giapponese, alle illustrazioni ukiyo-e e al lavoro di Hiroshige e Hokusai. "L'idea era di prendere quei paesaggi drammatici e reimmaginarli come paesaggi spazzatura" ha spiegato Harrod. Gli splendidi paesaggi del Giappone del XIX secolo sono così diventati letteralmente paesaggi spazzatura, e il team del film è riuscito nell'improbabile impresa di rendere bella anche l'immondizia.
La geografia dell'isola è stata modellata in parte sulle Horizontal Falls (cascate orizzontali) dell'Australia occidentale. Malgrado il loro nome non sono vere cascate, ma una corrente marina molto potente che che con l'arrivo della marea si insinua in due strette gole costiere della baia di Talbot. Ogni gola è larga circa 10 metri e l'acqua si accumula più velocemente di quanto non riesca a liberarsi, provocando un'irregolarità della superficie dell'acqua simile ad una cascata.
Per creare i paesaggi di Trash Island gli scenografi del film si sono ispirati ai lavori di Edward Burtynsky e Chris Jordan, alle loro foto di cumuli di rifiuti e di aree industriali dismesse. Le immagini di questi due famosi fotografi contemporanei, terrificanti e belle allo stesso tempo, hanno aiutato a definire l'idea di creare una serie di zone nella spazzatura, organizzandola e separandola. "Ci siamo resi conto che sarebbe stato ripetitivo se avessimo continuato ad accumulare mucchi di rifiuti", ricorda Wes Anderson. "Così abbiamo finito per dire: questa parte dell'isola è di carta. Questa parte è di bottiglie. Questa parte è di gomme".
L'isola infatti ha un panorama sorprendentemente vario, un pò come attraversare un paese e le sue diverse aree geografiche: nel corso del film vediamo Chief e i suoi amici attraversare un centro fieristico, un campo da golf, il Kobayashi Park, torri di vecchi pneumatici, di giornali o di bottiglie di vetro, fino ad arrivare ad una struttura per la sperimentazione animale.
Una scenografia fatta di spazzatura potrebbe sembrare un'ambiente poco favorevole agli scatti perfettamente simmetrici e ordinati per cui è noto Wes Anderson, ma il team del film è riuscito a legare il caos dei paesaggi pieni di rifiuti con l'estetica coreografica di Anderson attraverso un uso attento del colore. La decisione di creare interi paesaggi partendo da un singolo materiale o oggetto - vecchi pneumatici, giornali, bottiglie - ha prodotto una serie di set con un colore dominante e come spiegato da Harrod "Siamo stati in grado di portare questo senso della struttura al paesaggio attraverso la codifica a colori".
"Quando Spots viene lanciato per la prima volta su Trash Island, si trova in questa sorta di anfiteatro di metallo a cubetti. Ma non è arrugginito, quindi ha questa tonalità blu-argento. Tutti i cubi salgono verso il cielo, creando una sorta di sfondo formalista. Sublime, eppure terrificante " ha detto lo scenografo. Ogni area dell'isola ha dei colori unificanti: passiamo così da un'ambiente color ruggine creato da materiali ferrosi abbandonati, a un paesaggio totalmente bianco ricoperto da vecchi giornali sbiaditi ed elettrodomestici rotti, a un nascondiglio multicolore fatto da centinaia di bottiglie di saké scartate. Fino ad arrivare in un ambiente completamente nero, la spiaggia dove i protagonisti incontrano i cacciatori di cani, composto da vecchi tubi catodici e batterie.
Nello scenario post-apocalittico di Trash Island, nuvole e fumi tossici sono stati fatti manualmente con batuffoli di cotone, le pozzanghere sono state realizzate con perspex coperto da pellicola trasparente, mentre la nebbia è stata creata con un pezzo di lana di cotone posto sul set e spostato fisicamente dall'animatore, un fotogramma alla volta, in modo da creare il movimento.
L'idea delle nuvole viene dai cartoni animati. Il team voleva fare qualcosa alla Tex Avery o alla Wile E. Coyote e Beep Beep. Anche i Peanuts sono stati un riferimento, con il personaggio di Pig-Pen e le sue nuvole di polvere.
Per la struttura sulla sperimentazione animale il team del film ha preso come riferimenti North Brother Island, un vecchio ospedale per la tubercolosi ormai completamente ricoperto di viti, al largo di New York e il Seminario di St. Peter in Scozia (in particolare le sue nicchie semicircolari) un capolavoro di architettura brutalista costruito negli anni '60 e ora completamente ricoperto di vegetazione.
Il film è disseminato di numerosi riferimenti cinematografici. Wes Anderson cita Akira Kurosawa, in particolare i suoi film degli anni '60, come fonte d'ispirazione principale per "L'isola dei cani". Film come "I cattivi dormono in pace" (1960), "Anatomia di un rapimento" (1963), "Dodes'ka-den" (1970) - ambientato in una baraccopoli nella periferia di una metropoli giapponese alla fine degli anni '50 - "Cane randagio" (1949) e ovviamente uno dei capolavori di Kurosawa, "I sette samurai" (1954).
In una delle prime scene del film assistiamo ad un duello tra Chief, Rex, King, Boss e Duke e dei cani rivali per la conquista di un sacchetto di spazzatura sigillato. La resa dei conti tra le due squadre è stata girata come una sequenze simili a "Yojimbo - La sfida del samurai" (1961) e "I sette samurai" di Kurosawa, alternando ritmicamente i campi lunghi dei combattenti riuniti ai primi piani dei loro volti pronti per la battaglia. Anche la frenetica colonna sonora di Alexandre Desplat include dei richiami a quella de "I sette samurai" e alla colonna sonora dei film della serie "Godzilla" composta da Akira Ifukube.
Per gli interni di Megasaki Harrod si è ispirato anche alle scenografie del famoso cineasta giapponese Yasujiro Ozu. La scena che riprende Yōko Ono, l'assistente del professore Watanabe, bere da sola nel bar il sakè sembra tratta "Il Gusto del Sakè" (1962), l'ultima opera del regista prima della sua morte, che ha come protagonista l'attore Chishū Ryū, noto per aver recitato in ben 35 film di Ozu.
Quando in questa stessa scena arriva Tracy, la studentessa americana con il suo libro di documenti, sullo schermo vediamo una ripresa insolita, un close-up estremo di Yoko e Tracy. La ripresa inizia come due inquadrature molto strette, quindi la fotocamera si spinge leggermente mentre le ragazze mettono insieme le loro teste sulla boccetta dell'antidoto e quando le loro teste si uniscono, il muro dietro di loro si innalza. Wes Anderson voleva fare riferimento a una ripresa de "Il colore dei soldi" (1986) di Martin Scorsese, dove Tom Cruise si appoggia al tavolo da biliardo con la stecca e il tavolo si alza per incontrarlo.
I riferimenti del film comprendono anche gli effetti speciali (i tokusatsu) e i mostri (i kaiju) del regista Ishiro Honda ("Godzilla" "I misteriani" "Kong, uragano sulla metropoli") che aveva collaborato a numerosi film di Kurosawa, rintracciabili nelle stranezze metalliche dei robot e dei droni de "L'isola dei cani".
Molti dei personaggi umani de "L'isola dei cani" sono ispirati a comparse e personaggi minori dei film classici giapponesi - per lo più film di Akira Kurosawa. I personaggi non sono mai stati solo su una persona, ma sono un mash-up di diversi attori secondari - molti dei quali sono apparsi sullo sfondo di più film dello stesso regista.
L'aspetto del sindaco Kabayashi è ispirato all'attore Toshiro Mifune, l'alter ego sullo schermo di Akira Kurosawa. In particolare al personaggio interpretato da Mifune nel film film di Kurosawa del 1963 "Anatomia di un rapimento" in cui il famoso attore interpreta Kingo Gondo un ricco dirigente in lotta per ottenere il controllo di una società. Un ulteriore riferimento a questo film è dato dal cane a cui presta la voce Harvey Keitel che si chiama proprio Gondo.
Evidentissima l'influenza visiva di "Quarto potere" (1941) di Orson Welles nella sequenza del discorso del sindaco all'interno della Cupola Municipale.
Nel film sono rintracciabili anche influenze cinematografiche di Stanley Kubrick, per il laboratorio bianco del professor Watanabe e dello "Stalker" (1970) di Andrei Tarkovsky, per l'aspetto e il design delle terre desolate di Trash Island.
Riferimenti al cibo sono sparsi per tutto il film. C'è l'interno di una cucina con scatole di Puppy Snaps accatastate con cura lungo la parete della stanza o il ramen bar dove una squadra di baseball giovanile si riunisce per mangiare rumorosamente la famosa zuppa di spaghetti giapponesi. Mentre su Trash Island troviamo sacchetti con avanzi di cibo voracemente masticati dai cani.
La preparazione del cibo giapponese è una forma d'arte e ne "L'isola dei cani " c'è una sequenza particolarmente memorabile, quella della preparazione del sushi. Mark Waring, il direttore dell'animazione, ha spiegato che "la sequenza del sushi era basata in modo specifico su un cuoco di uno dei ristoranti giapponesi preferiti di Wes a Parigi. Ha fatto fotografare le sue mani e le abbiamo scolpite per farle apparire esattamente uguali".
la cinepresa ci mostra dall'alto le mani di uno chef di sushi mentre prepara una bento box per il professor Watanabe, candidato dello Science Party. Per gli animatori è stata una grande sfida creare l'illusione che un pupazzo animato preparasse il sushi. Il granchio, il tentacolo di polpo e lo sgombro hanno colorazioni relativamente realistiche e la decisione di creare forme particolari di sushi è dettata dalla volontà di produrre un contrasto di colore all'interno del piatto.
La sequenza è stata tale che la produzione ha ingaggiato un regista d'animazione indipendente, Brad Schiff, per gestire la scena da solo. È stato raggiunto da tre animatori - Andy Biddle, Tony Farquhar-Smith e Tobias Fouracre - che hanno lavorato per due mesi per dar vita a questa sequenza che nel film dura meno di un minuto.
"L'isola dei cani" è costellata di riferimenti alla cultura giapponese, come il teatro kabuki, il sumo, i samurai, i tamburi taiko, i torii, i fiori di ciliegio e tantissimo altro ancora!
Mentre gli scenografi Harrod e Stockhausen hanno perfezionato l'aspetto dei set, Andy Gent, capo del dipartimento marionette e il suo team costruivano gli adorabili personaggi a quattro zampe del film. In scena vediamo cani di varie dimensioni, da un carlino in grado di capire la tv doppiato da Tilda Swinton a uno scroccato San Bernardo con la voce di F. Murray Abraham, ma la maggior parte dei cani sono un cocktail di razze diverse. Sono randagi arruffati e magri con il pelo spesso e cicatrici da battaglia, ma le loro orecchie grandi e flosce e degli occhi incredibili conferiscono loro un fascino da cucciolo. Una delle cose più sorprendenti de "L'isola dei cani" è quanto siano espressivi i cani e infatti la maggio parte dell'umorismo del film sta nelle loro espressioni facciali e nel modo in cui si muovono.
I burattini sono stati creati di diverse dimensioni: "Avevamo tre scale di pupazzi di base, il che significava in molti casi che avremmo dovuto creare diverse scale di set", spiega Harrod. "I grandi pupazzi erano alti circa 12 o 13 pollici, i pupazzi medi per i campi medi erano circa il 60 per cento delle dimensioni di quelli grandi, poi avevano delle piccole marionette per i campi lunghi e, in aggiunta, una serie di pupazzi ancora più piccoli per i campi super-larghi".
Wes Anderson ha curato in ogni dettaglio il character design dei suoi personaggi a quattro zampe. La cagnolina Nutmeg, ad esempio, è stata modellata in fase di storyboard su Lauren Bacall e doppiata da Scarlett Johansson.
Non a caso le scene tra Nutmeg e Chief, con le loro botte e risposte, fanno tornare alla mente i duetti tra Humphrey Bogart e Lauren Bacall ne "Il Grande Freddo". "Mordo", avverte Chief per tutto il film, ma è come un Humphrey Bogart ferito, un tipo romantico sotto tutta quella spacconeria spregiudicata.
Stellare il cast di attori celebri che hanno prestato la loro voce ai protagonisti del film: Bryan Cranston, Koyu Rankin, Edward Norton, Bill Murray, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Bob Balaban, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Frances McDormand, Greta Gerwig. Alla domanda su come fosse "solo una voce" nel film, Bill Murray, alla premiere al Festival del cinema di Berlino, ha risposto con il suo tipico umorismo che è come una delle voci del video di "We Are the World": "queste sono alcune delle grandi voci del cinema e sono davvero felice di cantare, anche se ottengo un verso ".